Tumori: nel nuovo piano oncologico mancano obiettivi concreti e risorse

Pubblicato il:
18.5.2023

 

 Roma,  18 maggio 2023 – Il Piano Oncologico  Nazionale (PON) 2023-2027 è un documento ambizioso, come dimostra il consenso  ricevuto in Conferenza Stato-Regioni. Però è troppo generico nella  formulazione degli obiettivi e non prevede i necessari finanziamenti per la  loro realizzazione. A fronte del riconoscimento della centralità  dell’assistenza ai malati di cancro, le azioni concrete da mettere in campo  non sono definite, rischiando così di “navigare a vista”. Gli aspetti più  critici riguardano le Reti Oncologiche Regionali, ancora prive di risorse  dedicate, non sono indicati gli strumenti per raggiungere la copertura  prevista per gli screening per i tumori della mammella, del colon-retto e  della cervice uterina, non vi è alcun riferimento alla qualità delle  prestazioni chirurgiche in oncologia e l’ammodernamento del parco tecnologico  non contempla le attrezzature per radioterapia. Non solo. Non vengono  definiti i criteri per programmare la realizzazione di laboratori di biologia  molecolare sul territorio nazionale e non sono previsti i necessari  interventi urgenti di carattere normativo per la riabilitazione. La mancata  definizione di questi aspetti rischia di compromettere la presa in carico dei  pazienti e la loro qualità di vita, oltre ad aumentare i costi della  malattia. Ogni anno infatti in Italia si registrano 895mila ricoveri per  tumore, con una spesa annuale per i soli costi diretti ospedalieri pari a  oltre 4 miliardi di euro, a cui si aggiungono 2,5 miliardi di uscite per le  prestazioni assistenziali. Per questo FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), insieme a tutte le Società  scientifiche autrici del capitolo, chiede di istituire un tavolo di lavoro  per la stesura di un regolamento attuativo, strutturato e definito, che  nei diversi ambiti renda operativo il PON; di identificare e nominare un gruppo  di coordinamento per la valutazione annuale degli indicatori e la loro  puntuale pubblicazione e di definire gli strumenti operativi che,  sulla base del monitoraggio e degli indicatori annuali, permettano di  procedere con le necessarie e tempestive misure correttive. Le richieste  sono contenute nel 15° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici,  presentato oggi a Palazzo Madama, nell’ambito della XVIII Giornata nazionale  del malato oncologico promossa da FAVO.    

“Per  assicurare la realizzabilità e l’allineamento del nostro Piano a quello  europeo, che si basa su 3 pilastri (Prevenire il prevedibile; Ottimizzare  diagnosi e trattamento e Qualità di vita), è assolutamente indispensabile –  spiega Francesco De Lorenzo, Presidente FAVO – l’immediata attivazione  delle Reti Oncologiche Regionali e della Rete Nazionale dei Tumori Rari, conditio  sine qua non per la presa in carico complessiva dei malati di cancro e  per garantire loro la migliore qualità di vita possibile. Alla guarigione  clinica spesso si accompagnano infatti disabilità, fisiche e psicosociali,  recuperabili proprio attraverso programmi di riabilitazione. Ciò è necessario  per restituire alla persona guarita una vita piena e soddisfacente, ma anche  un dovere e una responsabilità collettiva per garantire un uso appropriato delle  risorse”. “Si pensi ai vantaggi di reintegrare una persona guarita nel mondo  del lavoro: il ritorno alla vita attiva si traduce in un risparmio di spesa  previdenziale, al contempo contribuendo a dare sostanza alla condizione di  guarito – continua Elisabetta Iannelli, Segretario FAVO -. I tumori  rappresentano la causa principale del riconoscimento degli assegni di  invalidità e delle pensioni di inabilità, con un trend in costante crescita  negli ultimi anni. Le insufficienze del sistema sul piano della riabilitazione  sono state riconosciute anche dall’Unione Europea, che ha messo in campo  azioni correttive di grande rilevanza. Anche l’Italia deve adottare i  provvedimenti normativi necessari perché sia riconosciuto il diritto alla  riabilitazione oncologica, definendo percorsi specifici in funzione di  ciascuna patologia e assicurandone l’accesso attraverso il riconoscimento nei  Livelli Essenziali di Assistenza”.  

“Il Piano Europeo di lotta contro il cancro,  presentato dalla Commissione Europea, riporta per il 2020 nei Paesi  dell’Unione Europea 2,7 milioni diagnosi di cancro e 1,3 milioni di morti per  questa patologia, stimando, in assenza di interventi strategici,  un ulteriore aumento della mortalità di oltre il 24% entro il 2035.  Anche in Italia in questa prospettiva risulta indispensabile programmare  nell’ambito del nostro SSN una strategia di controllo della malattia cancro,  con iniziative e obiettivi definiti e soprattutto attuabili. Questo può  essere l’obiettivo della sanità pubblica per un adeguato controllo del cancro  in tutte le fasi della malattia. In una strategia e programmazione sanitaria  finalizzata a garantire l’effettiva realizzabilità del PON, è indispensabile  integrare l’enunciazione tecnico-scientifica con aspetti più direttamente  correlabili alla operatività ed alla efficacia degli interventi. Da un punto  di vista di impostazione generale occorre sottolineare che alcuni temi più di  carattere strategico richiedono un necessario allineamento con il Piano  Europeo, come indicazioni di pianificazione e programmazione specifica  in termini di rilevazione del fabbisogno, indicazioni specifiche delle  risorse da investire o quantomeno degli standard di riferimento. È  indispensabile per la sanità pubblica intervenire in aree con ricadute sui  sistemi sanitari regionali, come l’implementazione degli screening oncologici  con obiettivi regionali e trend temporali di crescita, la riqualificazione  delle cure intermedie e dell’assistenza domiciliare, l’assistenza psicologica  e la riabilitazione oncologica. Inoltre, è necessario prevedere interventi  operativi a livello delle aziende sanitarie erogatrici che intervengano in  merito ai tempi previsti, agli indicatori di monitoraggio, all’appropriatezza  dei setting in base al percorso di cura del paziente oncologico e  onco-ematologico, valorizzando da un lato la medicina di prossimità e  dall’altro il ruolo dei centri di eccellenza, e l’accesso alla innovazione  scientifica e alla ricerca”, illustra Carmine Pinto, Presidente FICOG  (Federation of Italian Cooperative Oncology Groups). 

Una riduzione del 6-8% della mortalità per tumore  determinerebbe in Italia 10.000-14.000 decessi in meno ogni anno. “Questo può essere l’obiettivo della sanità  pubblica per un’adeguata strategia di controllo del cancro, che comprenda  tutte le fasi, dalla prevenzione primaria e sensibilizzazione dei  cittadini, allo screening, alla diagnostica fino all’equità di accesso alle  cure migliori sull’intero territorio – afferma Saverio Cinieri,  Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Nel PON viene  dato molto risalto alle Reti Oncologiche Regionali, però non viene fatto  cenno al Coordinamento Generale delle Reti Oncologiche, previsto nel  Documento adottato dalla Conferenza Stato-Regioni il 17 aprile 2019. Inoltre,  perché le Reti Oncologiche Regionali raggiungano una reale efficienza, sono  necessarie risorse dedicate che non vengono stabilite dal PON, partendo da  una valutazione dei bisogni e con una diretta autonomia di spesa. Elemento  centrale delle Reti Oncologiche Regionali sono i Percorsi Diagnostico  Terapeutici Assistenziali, ma anche in questo caso mancano indicazioni sui  finanziamenti indispensabili per coprire le figure necessarie, quali clinical  study coordinator, psicologi, nutrizionisti, fisiatri, assistenti sociali,  professionalità che oggi mancano quasi ovunque”. 

“Nel  PON non viene menzionata la qualità delle prestazioni chirurgiche in  oncologia – evidenzia Alfredo Garofalo, Presidente emerito SICO  (Società Italiana di Chirurgia Oncologica) -. Nei tumori solidi spesso la  chirurgia rappresenta il primo approccio alla malattia e un intervento  inadeguato può influenzare tutte le fasi successive della strategia  terapeutica integrata. L’individuazione di centri ad alto volume di attività  chirurgica per patologie oncologiche è un passaggio obbligato per assicurare  ai pazienti una qualità delle prestazioni che consenta l’approccio alla  malattia più moderno ed efficace. Per il riconoscimento delle unità operative  ‘ad alta specialità in chirurgia oncologica’, i centri dovrebbero certificare  i volumi minimi di attività degli ultimi tre o cinque anni ed essere dotati  di caratteristiche organizzative per garantire alti livelli di efficienza e  qualità”. 

“L’oncologia  di precisione, una delle più rilevanti innovazioni che sta modificando la  prognosi dei pazienti, richiede una caratterizzazione bio-molecolare dei  tumori, per ottimizzare i risultati delle terapie in termini di efficacia e  di risparmio di tossicità – sottolinea Nicola Normanno, Past President  SIC (Società Italiana di Cancerologia) e Presidente di IQN Path  (International Quality Network for Pathology) -. Nel PON mancano riferimenti  per sviluppare una governance a livello nazionale e regionale per i  laboratori di biologia molecolare e, in particolare, per l’esecuzione dei  test di sequenziamento genico di nuova generazione. È indispensabile definire  criteri stringenti per la realizzazione di laboratori di biologia molecolare  nell’ambito delle Reti Oncologiche Regionali, che considerino volumi di  popolazione, logistica, qualità dei test e piattaforme informatiche. Infine,  devono essere organizzati percorsi di collegamento tra le Reti Oncologiche e  le attività di ricerca clinica, per favorire l’accesso dei pazienti  oncologici alle nuove terapie”. 

“Il  PON non prevede un piano di aggiornamento del parco tecnologico per la  radioterapia, che invece necessita di tecnologie e risorse umane in grado di  offrire cure adeguate in tutto il Paese, nel rispetto del principio di equità  e per contenere le migrazioni sanitarie che incidono pesantemente sui  pazienti e sui caregiver – afferma Cinzia Iotti, Presidente AIRO  (Associazione Italiana Radioterapia e Oncologia clinica) -. Nel PON non è  definito cosa si intenda per innovazione né si fa cenno ad un piano di  investimento che tenga conto dei bisogni del territorio e del contesto in cui  le attrezzature più innovative dovrebbero essere collocate. Vi è inoltre la  necessità di costituire il circuito delle reti radioterapiche regionali, in  grado di monitorare i fabbisogni e l’appropriata distribuzione delle risorse  tecnologiche e professionali”. 

“Le  persone che vivono dopo una diagnosi di tumore in Italia stanno rapidamente  aumentando: dai 2 milioni e mezzo del 2006, il loro numero ha superato, nel  2020, i 3,6 milioni. Quasi un terzo, circa un milione di cittadini, può  considerarsi guarito – afferma Giordano Beretta, Presidente Fondazione  AIOM -. Le linee strategiche, con riferimento alla realizzazione di  interventi specifici per la tutela ed il reinserimento lavorativo dei  pazienti, dei guariti e dei caregiver risultano ancora generiche. Nel Piano  Oncologico non si interviene sulla necessità di promuovere e sostenere  l’approvazione da parte del Parlamento di normative a tutela del lavoro per  malati e caregiver e sulla richiesta di una legge sul diritto all’oblio  oncologico, per la quale Fondazione AIOM ha promosso una petizione nazionale,  che ha già raccolto circa 106mila firme”.

 “Il  nuovo scenario impone lo sviluppo e un utilizzo sempre maggiore di  appropriati strumenti di programmazione e valutazione economica. Riuscire a  disegnare percorsi assistenziali e di accesso alle cure tempestive  (accompagnati da una puntuale stratificazione dei pazienti) permette una  riduzione tanto dei costi diretti quanto dei costi relativi alla spesa  previdenziale, senza dimenticare l’obiettivo fondamentale che è  rappresentato dal miglioramento dello stato di salute dei pazienti. Un nostro  studio recente (EEHTA CEIS Università Tor Vergata) è stato in grado di  stimare una spesa annuale per i soli costi diretti ospedalieri pari a  oltre 4 miliardi di euro, cui si aggiungono 2,5 miliardi di costi indiretti a  carico del sistema previdenziale (spesa assistenziale). L’analisi della  mobilità sottolinea ulteriormente la necessità di uno sforzo per appianare le  differenze regionali in termini di offerta ospedaliera, prevenzione e  medicina territoriale. È necessario che la spesa per programmi di prevenzione  e screening torni ai livelli pre pandemia e li superi. L’incremento, infatti,  dei costi per l’effettuazione di queste procedure viene comunque largamente  compensato da una più efficiente allocazione delle risorse e,  soprattutto, da una importante ed evidente riduzione dei costi, sia  diretti che indiretti, nel medio-lungo periodo grazie ad una presa in carico  precoce seguita da trattamenti efficaci”, spiega Francesco Saverio Mennini,  Direttore EEHTA-CEIS, Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’ e  presidente SiHTA.

 “FAVO  è nata nel 2003 – conclude Francesco De Lorenzo -. In venti anni di  attività, in sinergia con le Istituzioni e le società scientifiche, FAVO ha  raggiunto traguardi importanti. Ricordiamo, tra gli altri, il diritto dei  malati oncologici di poter continuare a lavorare, nel pubblico e nel privato,  attraverso la trasformazione, reversibile, del tempo pieno in part-time, la  riduzione da un anno a 30 giorni del tempo necessario per ottenere il  riconoscimento della disabilità oncologica, il formale riconoscimento del  ruolo delle associazioni dei pazienti nelle Reti Oncologiche regionali a  tutti i livelli e il necessario coinvolgimento degli advocacy patient  nella attività di ricerca. Questi risultati rappresentano una vera e propria  rivoluzione del modo di concepire la malattia oncologica. FAVO ha cambiato la  vita dei malati e dei guariti, agendo sulle Istituzioni, sulle organizzazioni  professionali e sulle società scientifiche ma, soprattutto, sulla cultura,  per cambiarla, dando un contributo determinante al superamento dello stigma  ‘cancro uguale morte’. La sfida per il futuro sarà consolidare questi  risultati”. 

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