Roma, 23 giugno2022 –“Diciamo no alla moltiplicazione delle Stroke Unit con piccoli volumi diattività, perché non sarebbero nell’interesse del paziente. Quanto allatrombectomia, pensare di curare la malattia solamenteriaprendo un vaso, può essere pericoloso: il cervello è anatomicamente efunzionalmente più complesso del cuore. Ogni giorno lavoriamo in collaborazionecon i cardiologi e con i cardiologi interventisti, ma il rispetto per lecompetenze può cambiare radicalmente il corso di una patologia e la vita dellepersone”. Questa la reazione del Presidente di ISA-AII Italian StrokeAssociation-Associazione Italiana Ictus, Prof. Mauro Silvestriniall’allarme lanciato dal GISE sulla carenza di carenza in Italia di Unità Ictuse di una delle procedure utilizzate per disostruire i vasi occlusi, latrombectomia.
“Ilpaziente colpito da ictus – prosegue Silvestrini - normalmente viene primasottoposto a terapia farmacologica fibrinolitica per via endovenosa. Incasi selezionati e in specifiche condizioni si procede con la trombectomia.Ricordiamo però che la procedura da sola non risolve: il trattamento offerto alpaziente è efficace se c'è un percorso adeguato in cui l’intervento può avereun ruolo limitato, non per importanza, ma perché inserito nell’ambito di unpercorso che è molto più articolato e che non è per tutti. Le evidenze cidicono che ciò che migliora la prognosi del paziente non è un singolo passaggioma una gestione appropriata e competente dell’insieme di problematiche checaratterizzano un ictus. Estrarre quel solo elemento da tutto il processo nonmigliora la speranza di vita di una persona”.
“Noi –spiega il Presidente ISA-AII - abbiamo a che fare con il trattamento di unacondizione che riguarda il cervello, che è un organo che chiaramente ha le suepeculiarità. Quindi è impensabile che qualsiasi tipo di gestione dei pazientivenga fatta al di là e al di fuori di una supervisione o competenza di tiponeurologico. Se è vero che alcuni pazienti non riescono ad avere un trattamentoappropriato, ciò accade soprattutto quando il trasporto in Ospedale non avvienetempestivamente. Questo è minimamente influenzato dal numero delle Unità Ictusche sono attualmente 220 (64 delle quali in grado di effettuare latrombectomia) e che nella maggior parte delle regioni italiane, assicurano giàuna buona copertura, in netta crescita anche al Sud: prova ne è il numero semprecrescente di pazienti che viene sottoposto a un trattamento nella fase acuta. Bisognasempre ricordare che l'adeguatezza di un centro e la capacità di effettuaretrattamenti efficaci è relazionabile al numero di interventi che vengonoeseguiti. Creare strutture che hanno ridotti volumi di attività o chesolitamente si occupano di altri trattamenti, non vuol dire rendere un buonservizio alla comunità. Ciò che serve è l'ottimizzazione del funzionamentodella rete, dalla consapevolezza dei cittadini sui sintomi al trasporto col 118.
“Occorronoinoltre figure altamente qualificate per dare reali opportunità terapeutiche aipazienti – ricorda Silvestrini -La tromboectomia richiede non solo unaspecializzazione in radiologia, ma una competenza neuro-radiologica che nonbasta ancora, perché serve una specifica preparazione in neuroradiologiainterventistica. Ci parrebbe assai improprio se un neuroradiologo interventistasi occupasse di angioplastiche coronariche”.
“Lefigure del cardiologo e del cardiologo interventista sono preziose – concludeil Presidente ISA-AII -. In tutte le Unità Ictus esiste una collaborazionestrettissima fra neurologo e cardiologo. La relazione, anche come Società Scientifica,è molto forte: la competenza cardiologica nell’ictus è fondamentale, bastipensare al tema della prevenzione secondaria. Tuttavia crediamo con forza chele competenze specifiche debbano restare tali, sempre nell’ambito di un lavorodi squadra. Un neuroradiologo non tratta l’ictus da solo, ma in collaborazione conl’intera Unità Ictus, normalmente gestita da neurologi, gli unici che possonodare indicazione all'intervento di trombectomia insieme al neuroradiologo,proprio perché tutto quello che viene fatto prima e dopo quell’atto richiedeuna visione della complessità della problematica. Scorporare questo segmentodel percorso, senza uno sguardo d’insieme, non va a vantaggio della salute delpaziente, che deve sempre essere al centro di tutti gli sforzi terapeuticidella fase acuta dell’ictus”.