Roma,31 marzo 2023– Quasi il 70% degli studi clinici sui tumori include la qualità di vita deipazienti tra gli endpoint, cioè tra gli obiettivi da analizzare. Un dato che èprogressivamente aumentato negli anni: infatti nel quinquennio 2012-2016 erapari al 52,9% per raggiungere il 67,8% nel periodo 2017-2021. I risultatirelativi alla qualità di vita, pur compresi fra gli endpoint, però vengonopubblicati solo nel 52,1% dei casi in cui sono stati raccolti. E questapercentuale è addirittura calata rispetto al 2012-2016 (62,3%). I dati emergonoda uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica “BMJ Oncology”.La Società americana di oncologia clinica (ASCO) e quella europea (ESMO) hannoinserito la qualità di vita tra i parametri da utilizzare per la valutazionedel valore di un farmaco anticancro. La mancata pubblicazione rischia però diprivare di informazioni molto importanti per valutare l’impatto della malattiae del trattamento sui pazienti.
Iltema della qualità di vita (inclusa l’importanza della pubblicazione tempestivadei risultati) è uno dei tanti argomenti affrontati nel “Clinical ResearchCourse”, organizzato oggi e domani a Roma dall’Associazione Italiana diOncologia Medica (AIOM) e dall’American Society of Clinical Oncology (ASCO) performare i clinici sul disegno e l’interpretazione di uno studio clinico. È laprima volta che si svolge in Italia un corso in collaborazione con ASCO. AIOMha supportato economicamente, oltre che l’iscrizione al corso di tutti ipartecipanti selezionati, anche le spese di viaggio per alcuni partecipantiprovenienti dall’estero, in particolare da Paesi disagiati economicamente.
“Laricerca scientifica non ha confini, per questo costruiamo ponti con gli altriPaesi per condividere esperienze cliniche e capacità formative – afferma SaverioCinieri, Presidente AIOM -. I PRO, i ‘patient-reported outcomes’, sono l’insiemedei sintomi che misurano la qualità di vita dei pazienti durante untrattamento, per valutarne l’impatto. I PRO sono quantificati grazie a questionaristandardizzati e validati sui quali i pazienti possono riportare gli eventualieffetti avversi. Sono questionari che permettono di rilevare anche altriparametri come le scale funzionali, per esempio il benessere fisico, emotivo,sociale. Non sostituiscono le informazioni del medico, ma sono molto importantiperché aggiungono i dati riferiti direttamente dai pazienti, senza alcun filtro,ampliando le conoscenze sul valore della terapia. Sta migliorando lapercentuale di studi in oncologia che includono la qualità di vita fra gliendpoint. Ma dobbiamo impegnarci di più perché, soprattutto in alcuni stadi dimalattia e nella ricerca accademica, la presenza di questo dato è ancora insufficiente”.
L’analisipubblicata su “BMJ Oncology” è un lavoro firmato da ricercatori del nostroPaese e ha confrontato 388 sperimentazioni del periodo 2017-2021 con 446 delprecedente quinquennio 2012-2016. “L’agenzia regolatoria americana e quellaeuropea - spiega Massimo Di Maio, Segretario AIOM - hanno prodotto varidocumenti dove esplicitano la necessità di produrre dati di ‘patient-reportedoutcomes’ a sostegno di un trattamento quando si voglia sviluppare un farmaco ascopo registrativo. Le aziende farmaceutiche hanno prontamente recepitol’invito degli enti regolatori a includere la qualità di vita tra gli endpoint,mentre la ricerca accademica e indipendente deve ancora dimostrare maggioreattenzione a questo aspetto. Non solo. Nella nostra analisi emerge che, inquasi la metà degli studi, il risultato della valutazione della qualità divita, nonostante sia stato raccolto, non compare nella pubblicazioneprincipale. E questa tendenza, purtroppo, sta peggiorando: nell’ultimoquinquennio la percentuale di sperimentazioni che pubblica i dati relativi ai PROè addirittura più bassa rispetto a quella del periodo precedente”. “È importante– continua Massimo Di Maio - che le società scientifiche facciano formazione suquesti temi e creino occasioni di discussione, perché aumenti sempre più neiclinici la consapevolezza dell’importanza di adottare questi strumenti neitrial e della tempestività con cui comunicare e pubblicare i dati. Cosaperaltro sempre fattibile, dal momento che le informazioni sulla qualità divita sono raccolte in tempo reale durante il trattamento, quindi, perdefinizione, sono disponibili e mature al momento della pubblicazioneprincipale”.
“Èimportante anche promuovere l’attenzione alla qualità metodologica degli studi ‘realworld’, cioè di ‘vita reale’, in cui vengono inclusi pazienti non selezionati,spesso anziani e con comorbidità, a differenza di quanto avviene nei trialregistrativi, che non possono rispondere a tutti i quesiti utili nella praticaclinica – sottolinea Giuseppe Curigliano, membro del Direttivo Nazionale AIOM -.La ‘real world evidence’ offre diverse opportunità, ad esempio permette didescrivere i risultati di un farmaco in una popolazione eterogenea nellapratica clinica quotidiana, integrando i risultati degli studi clinici condottiprima dell’autorizzazione all’impiego nella pratica clinica. Inoltre, i dati di‘vita reale’ consentono di focalizzarsi su popolazioni speciali, spessosottorappresentate negli studi registrativi, e di produrre evidenze in stadi dimalattia per i quali non esistono trial randomizzati e controllati”.
“Perottimizzare la conduzione degli studi di ‘real world’ è però necessaria unapiattaforma universale che consenta la condivisione dei dati della praticaclinica quotidiana in tempo reale – continua il Presidente Cinieri -. Oggi nondisponiamo di sistemi di cartelle cliniche elettroniche uniformi, prerequisito pergestire in maniera efficiente queste informazioni su tutto il territorio. Setutti gli ospedali ‘parlassero’ la stessa lingua e utilizzassero lo stesso tipodi cartella, sarebbe possibile estrarre questi dati molto velocemente, aesclusivo vantaggio dei pazienti”.
“Esiste ancora un gap fra studi registrativi e‘real world’, cioè tra sperimentazione e pratica clinica quotidiana, che puòessere risolto creando una piattaforma che permetta di studiare non il singolofarmaco ma i percorsi terapeutici – afferma Francesco Perrone, Presidenteeletto AIOM -. I risultati degli studi clinici randomizzati, condotti a finiregistrativi, sono paragonabili a istantanee che mettono a fuoco il singolofarmaco. Ma il paziente affronta un percorso di cura dove, di fronte allamancata efficacia di una terapia, deve seguire un’alternativa. Ecco perché servonostudi di sequenza terapeutica, di confronto testa a testa e adattativi, ingrado cioè di aggiornarsi con l’evoluzione degli scenari diagnostici eterapeutici. E gli endpoint a cui fare riferimento devono essere solidi,includendo sopravvivenza, qualità di vita e tossicità”. “La disponibilitàdi dati adeguati – conclude Perrone - può avere ricadute positive anche dalpunto di vista regolatorio, riducendo le discussioni sulla rimborsabilità erispettando la reale efficacia del farmaco, che potrebbe essere anche superiorea quella evidenziata nei primi studi registrativi. Serve una ricerca clinica indipendente più forte, promossa dal Serviziosanitario nazionale, capace di rispondere a questi bisogni e che si aggiungaagli studi profit, condotti dalle aziende farmaceutiche. Ma oggi, in Italia,solo un quinto degli studi sui nuovi farmaci è indipendente”.